Atto Camera

Interrogazione a risposta orale 3-00219

presentata da
CAMILLO PIAZZA
martedì 19 settembre 2006 nella seduta n.037

CAMILLO PIAZZA, LION, FRANCESCATO, FUNDARÒ, POLETTI, TREPICCIONE e CASSOLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:

un'assurda ed inaccettabile vicissitudine sta dispiegandosi presso una delle più belle ed irripetibili amenità ambientali del nostro Paese, vale a dire il Lago di Idro;

nella più completa e censurabile inerzia delle massime istituzioni nazionali, segnatamente lo Stato per il tramite delle proprie amministrazioni e autorità competenti, da più di quattro generazioni, ma soprattutto negli ultimi dieci anni, si sta permettendo che il Lago di Idro scivoli inarrestabilmente verso un'irrecuperabile stato di rovina, se non addirittura verso la propria morte;

le popolazioni che insistono sul territorio del Lago di Idro, giunte, ad un punto di non ritorno di sopportazione e frustrazione, hanno intrapreso forme diversificate e ripetute di segnalazione e di denuncia, ma i risultati effettivi sono stati vani, pur se recepiti dalle parti cui erano rivolte;

soggetti pubblici o enti privati con funzioni pubbliche, con il malcelato ma efficace intento di sviare le rivendicazioni dei denuncianti verso obiettivi strumentali, verso false cause, nonché verso responsabilità improprie, hanno raggiunto lo scopo di innescare un conflitto tra poveri, tra popolazioni del Lago d'Idro ed agricoltori di zone lontanissime da esse, così potendo continuare indisturbati ad adottare misure e a realizzare interventi di sfruttamento economico delle risorse idriche del Lago che lo stanno conducendo alla morte e che altrimenti, utilizzando modi giusti e condivisi dell'uso delle stesse acque, potrebbero garantire senza danno l'esercizio delle attività economiche che oggi si ottengono con l'abuso e contemporaneamente non metterebbero in pericolo gli equilibri socio-ambientali del lago stesso;

ad oggi, basandosi su disposizioni ed atti amministrativi di cui andrebbe verificata la correttezza ed il potere applicativo dal momento che sembra assai incerto che essi rispondano a fonti di principio che li autorizzino e che giustifichino il loro contenuto e gli effetti della loro esecuzione, lo stato dei fatti evidenzia uno scenario allarmante in cui predomina l'impotenza ad opporsi alla realizzazione d'interventi lesivi che danneggiano l'equilibrio ambientale e l'integrità del territorio del lago di Idro;

in realtà, grazie al puntiglioso e articolato lavoro svolto dal più recente soggetto civile costituitosi per la tutela e la salvaguardia del lago d'Idro, il Coordinamento delle pro loco del lago di Idro, è attualmente disponibile un completissimo archivio di notizie storiche, iniziative sociali, atti normativi e disposizioni amministrative, che hanno la capacità di rendere edotto chiunque sulla questione. Inoltre, in ragione di un Atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, con cui il Coordinamento delle Pro Loco del Lago d'Idro ha da svariati mesi intimato agli Enti competenti di rendicontare il loro operato nella materia di cui trattasi (Ministero delle infrastrutture e trasporti; Provincia autonoma di Trento; Regione Lombardia; Provincia di Brescia), è attualmente altresì disponibile un circostanziato e puntuale atto ispettivo che fa luce sulle norme applicabili, ma violate o eluse, sui danni arrecati al lago e alle sue popolazioni, sugli interessi in gioco e sulle azioni che andrebbero attivate per ricondurre nella normalità la situazione in argomento;

al fine di rendersi conto della serietà del caso, oltre prendere visione della documentazione disponibile sul sito internet appositamente realizzato dal coordinamento delle pro loco del Lago d'Idro (www.salviamoillagodidro.it), sarebbe appropriato effettuare una visita sul luogo, in tal caso si evidenzierebbe in tutta la sua asprezza la gravità delle circostanze, segnatamente il malessere e la frustrazione delle genti del lago, l'ambiente violato, le risorse naturali e le attività rurali ed ittiche in declino, l'uso commerciale improprio ed eccessivo della risorsa idrica;

il caso rappresentato dalla cattiva utilizzazione delle acque del lago d'Idro è anche un effetto tangibile e concreto dei guasti che si generano nel caso si contravvengono le disposizioni costituzionali e le norme di diritto di rango principale che tutelano l'ambiente e gli interessi generali della collettività. In tal caso proprio la condizione critica che vessa le popolazioni del lago d'Idro è l'esatta conseguenza del mancato rispetto dei principi che in tale materia recano, oltre la Costituzione, la legge n. 36 del 1994 ed il più recente decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui qualsiasi uso delle acque dev'essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Oggi, a soffrire, sono le popolazioni e l'ambiente che per il legislatore del 1994 erano l'ambiente e le generazioni future. Memore di ciò e consapevole delle mortificazioni e delle sofferenze che le persone interessate possono accusare quando si trovano al cospetto di un ambiente e di un territorio naturale che non è più sano e incantevole come quello che vi era solo qualche ventennio prima, il territorio del Lago d'Idro, tramite anche il Coordinamento delle sue pro loco, chiede un intervento prioritario del Governo, ma soprattutto del Parlamento, affinché si individuino e si adottino strumenti efficaci per salvare il Lago d'Idro dalla sua morte;

la valenza ambientale del lago d'Idro è nota anche alla Comunità Europea: il lago d'Idro è stato designato «sito di importanza comunitaria» ai sensi del articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e fa parte della rete europea Natura 2000, rete ecologica europea costituita da zone speciali di conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche. Il lago d'Idro è particolarmente importante per la presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie a norma dell'articolo 1 della direttiva;

a causa dell'empia gestione che si sta facendo delle acque del lago d'Idro, anche la Commissione Europea ha deciso di intervenire contro lo Stato italiano, in tal senso attivandosi in costituzione in mora ai sensi dell'infrazione 13 2005/4347 sulla gestione d'Idro, SIC IT 20065 «Lago d'Idro»;

è indispensabile marcare che tutta la vicenda, a causa della sua complessità e vasta ramificazione di pseudo competenze, riesce facilmente a sfuggire a qualsiasi ordinata azione di verifica e di adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori o disciplinari verso quei soggetti che negli anni hanno ad ogni modo consentito che si perpetrassero contro il lago e la relativa popolazione tali pesanti gesti di scempio ambientale e di ferita sociale. In maniera pertinente con ciò, però, si deve evidenziare che ogni dubbio ed incertezza ad agire nella auspicata direzione di accertamento delle responsabilità si dissolvono quando alla base del punto controverso si stabilisce che il primo e assoluto soggetto istituzionale cui fanno capo le competenze e gli oneri dell'esercizio della tutela del bene è lo Stato, infatti, come meglio è chiarito dall'atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, il lago d'Idro è un bene demaniale dello Stato (fatta eccezione per una parte minoritaria afferente alla provincia autonoma di Trento) e ad esso spetta la relativa azione di tutela;

ancora per dare maggiore risalto alla situazione di cui trattasi, riteniamo utile riportare un luminoso brano di uno storico del luogo, il Professore Romeo Seccamani, che chiaramente evidenzia le circostanze accennate;

tenendo presente che si tratta di una nota di parte, ma che nella sostanza può senza dubbio fungere da base di principio tramite la quale si dovrebbero contemperare i diritti e le prerogative dell'ambiente e della popolazione del Lago d'Idro con le esigenze economiche e produttive degli utilizzatori delle relative acque, la memoria dello storico, recita: «Nel secondo decennio dell'Ottocento, dopo la disfatta napoleonica e all'inizio della restaurazione, viene costituito il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Una grande crisi colpisce tutta l'Europa. Per far fronte alle carestie e alla disoccupazione, nel bresciano vengono costruite varie strade. Nell'impegno di ridare fiato all'economia anche in Valle Sabbia, in quel periodo viene ricostruito il percorso della strada di fondo valle, di collegamento di Brescia con Trento. Vecchi e angusti tracciati usati fino ad allora per superare la stretta di Ruine, fra Idro e Lavenone, che costeggiavano su ambo i lati il fiume Chiese, vengono sostituiti con una più moderna e scorrevole via. Per superare il versante roccioso a nord del fiume, più diretto e privo di scavalcamento sul Chiese, si rese necessario un impegnativo lavoro di sbancamento di roccia, di riempimento e costruzione di muri, invadendo perciò l'alveo del fiume Chiese in modo incisivo e malaccorto, proprio nel punto in cui il lago d'Idro riversava le sue acque nel fiume. Venne così compromesso l'equilibrio millenario del lago perché con quella modifica il fiume emissario fu costretto a scorrere contro l'opposto argine argilloso sud, ma soprattutto si ostruì la parte più bassa dell'imboccatura del fiume, un'ansa rocciosa da cui il lago rigurgitava l'acqua. Nel periodo successivo a quell'indispensabile ammodernamento del tronco di strada, il livello del lago, che non scaricava più come prima, si alzò e procurò seri problemi. Sono di quel periodo vari tentativi resisi utili per l'abbassamento del punto roccioso di emissione del lago. Fu quella dunque la causa del lamentato impaludamento delle zone più sensibili del lago, come fece osservare l'attento umanista e cronista di quel tempo Pietro Riccobelli di Vestone. Osservazione però sempre ignorata da storici, scienziati e tecnici. Negli ultimi decenni dell'Ottocento il problema dell'impaludamento del lago divenne così il comodo pretesto usato per ingarbugliare le menti alla gente del lago e per convincerle ad acconsentire alla sostituzione del delicato apparato naturale di scarico del lago con altri sistemi artificiali mediante gallerie. Anche se il fine fondamentale dei fautori della drastica correzione dello stato naturale del lago fu quello, mai palesato, di arrivare a disporre di quanti più possibili milioni di metri cubi d'acqua, paradossalmente le motivazioni da loro sbandierate furono quelle di rendere il lago salubre e sicuro. Per decenni con questa scusa lavorarono i fianchi delle comunità costiere; con l'altra scusa poi, pur convincente e chiara del benessere generale che si sarebbe ottenuto sfruttando la forza idraulica dell'acqua per produrre elettricità, Ministeri e ragion di Stato, senza mai tradire l'esatta intenzione, ottennero quindi, quale primo passo, l'autorizzazione a fare un bel buco sul fondo del lago. Nel secondo decennio del Novecento, finalmente il traforo fu autorizzato. Così, dopo trenta anni di assemblee, progetti, relazioni e astuzie varie, a far capire alla caparbia gente di montagna quali fossero i benefici che avrebbero avuti a lasciare che il lago venisse addomesticato dalla sua originale selvatica e perversa natura e a convincere lo Stato del grande bene nazionale che sarebbe derivato col solo sacrificio di un così limitato ambiente naturale, con decreto del venticinque ottobre 1917, gli intraprendenti e audaci pionieri di quei tempi ottennero la concessione di sistemare a "serbatoio artificiale" il lago d'Idro. Nell'immediato periodo successivo a quel decreto, con il quale si autorizzò la "sistemazione", cioè lo snaturamento del più grande lago alpino, fu presto quindi sistemato il nevralgico e già compromesso punto di emissione dell'acqua del lago nel fiume Chiese mediante il relativo allargamento e livellamento del fondo, la costruzione di possenti paratie in acciaio per alzare e regolare il livello oltre la quota naturale, e la realizzazione di due gallerie, della complessiva portata di 130 metri cubi al secondo, sul fondo del lago, a più di dieci metri di profondità per abbassare e regolare il deflusso al di sotto di tale quota. Con questa "sistemazione", l'alveo dell'emissario venne ulteriormente manomesso, occupato con altre opere, e il suo argine sinistro fu spostato e reso instabile grattando il fianco di quel monte, lungo il quale, fino a un secolo prima, passava la strada secolare. In teoria, da quel momento si poteva prelevare dal lago come, quando e quanta acqua si voleva. La tanto agognata metamorfosi della complessa, grande quanto delicata risorsa idrica, fu compiuta. Nel giro di una manciata d'anni dal decreto emesso sotto le bombe in piena guerra mondiale, i moderni manovratori di rogge, canali forzati e navigli cambiarono d'abito. L'originario ente promotore, costruttore e concessionario si trasformò beffardamente, in simbiosi col lago, in "Società Lago d'Idro" inglobando alle vecchie energie finanziarie idroelettriche e idrauliche quelle nuove dei possidenti agricoltori. Nel 1927 la "Società Lago d'Idro" era già titolare della concessione di invaso, regolazione ed erogazione dell'acqua. Essa aggirando ostacoli di varia natura, pur di riuscire a perfezionare la capienza del suo grande serbatoio, calpestando diritti e natura della vita del lago e ignorando promesse e lusinghe fatte ai rivieraschi dai fautori originali suoi predecessori, in meno di un lustro ottenne dallo Stato accondiscendente un perfezionamento pure del decreto iniziale con il quale si prolungava, da 50 a 70 anni il diritto d'uso dell'acqua, spostando il termine al 1987; e le si concedeva di abbassare di altri metri la quota minima di svaso. La Società del benessere coronò così il sogno, che fu anche quello dei suoi precursori, di poter predisporre del suo bel vascone, incastonato tre le Alpi, di circa 80 milioni di metri cubi d'acqua. Un volume d'acqua ricavato in casa d'altri, con l'autorizzazione emessa, in nome della ragion di Stato, di fare salire di oltre 2 metri la quota naturale del livello di un bacino lacustre e di farla scendere al di sotto di questo di altri 5. L'autorizzazione valse oltretutto il diritto di sommergere terreni privati e pubblici e, con tale propiziata scusa, si potè acquistare con quattro soldi terreni di poveri contadini, accampando il motivo-dititto che comunque quei terreni venivano sommersi dalle acque. Terreni che oggi valgono suon di palanche, cioè fior di euro. Nel 1955, lungo tutto il percorso dell'alto Chiese, a monte del nostro lago, furono costruiti dei grandi serbatoi per centrali idroelettriche, aggravando e completando l'alterazione dello status del lago, degradandolo, da allora, anche ad essere considerato "vasca di compensazione", oltre naturalmente alla già subita metamorfosi da lago naturale a "serbatoio artificiale" di acque di riserva.
Nel 1987 scade la concessione decretata nel lontano 1917 e lo Stato diventa proprietario degli impianti di trasformazione del lago. I paladini del progresso e del benessere targati "Società Lago d'Idro" chiedono prontamente il rinnovo vantando diritti. (Sono passati più di cent'anni, la storia si ripete, metodi, astuzie, strategie sono sempre gli stessi di un tempo). L'estrazione della risorsa idrica si fa preziosa e si riduce di oltre la metà, su parere delle autorità scientifiche e giuridiche statali, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità lacustri. Loro, quelle volpi di acquivendoli, intanto non demordono e prendono tempo, aspettano situazioni politiche propizie, dicono di essere gli esperti e che gli impianti per la regolazione artificiale del lago sono da perfezionare: sentite un po' per quale ragione! Paventano che il luogo nevralgico in cui il lago sgorga nel fiume sia minacciato dalla paleofrana, neanche fosse un loro sogno subconscio. Una montagna lì da più glaciazioni, come tante altre, loro la scorgono ora. O forse si riferiscono semplicemente alla instabilità dell'estremo lembo di questo monte, da loro stessi grattato e reso tale pertanto non certo da cause naturali, a meno che non si intenda il fenomeno dettato anch'esso dalla perversa natura del lago, quale temporale perturbazione dello spirito e della ragione delle cose. Il resto è cronaca di questi giorni.
Si deve partire dalla storia perché sia la voce dello spirito, ma più ancora sia il corpo di uno snaturato lago a esprimere con amarezza e tanta diffidenza la denuncia per il danno subito e a mettere pertanto in evidenza l'irreversibilità del guasto morfologico, geologico e biologico, ossia del degrado vitale causato all'ambiente lacustre. Si deve iniziare con il sottolineare come fossero ospitali e sinuose, con fondali assestati e stabili, le rive di questo lago, che nel corso di un secolo di deterioramento, si sono trasformate in sponde aride e sassose. Una trasformazione resa possibile dai profondi e incauti svuotamenti di sette metri di livello, pari a ottanta milioni di metri cubi di acqua, con conseguenti sistematiche escursioni e lavorio delle onde che per così lungo periodo hanno denudato, eroso e rese sempre più ripide tali sponde, trasformandone per sempre l'aspetto morfologico e l'assetto idrogeologico, fino a farle sembrare bordi di crateri che in certi periodi assumono somiglianze da ghiera ampia e profonda, da inferno dantesco. Si deve rilevare anche, a proposito di assetto idrogeologico, quanto questo fattore abbia influito sulla stabilità del sottosuolo circostante a causa dei ripetitivi, drastici drenaggi agli strati di materiali di cui è composto. Per tale rilevazione non mancano documentazioni e fatti di sconquassamento di suolo, registrati da vari cedimenti di edifici, e valga per tutti il più recente e grave cedimento pericoloso della settecentesca chiesa parrocchiale di Idro. Si deve proseguire col denunciare i laceranti mutamenti fisici e formali di un tipico litorale, provocati dalla definitiva scomparsa di svariate specie e peculiarità di vegetazione ittica adattatasi, selezionatasi durante un millenario processo, per cui la loro presenza era incontestabilmente arricchimento vitale e paesaggistico di un ambiente singolare lacustre. Si deve rimarcare il fatto che la sostanziale essenza arcaica dell'essere lago è stata degradata nella sua specificità biologica in quanto i suoi valori di temperatura di ossigenazione e di organicità sono stati rivoluzionati dagli sproporzionati e frequenti movimenti di masse d'acqua provocati dall'artificioso regime assegnatogli con la trasformazione in serbatoio "di compensazione". Ma anche l'altrettanto artificioso sistema di scarico, appositamente realizzato tramite gallerie sul fondo del lago e non per traboccamento di superficie, ha fortemente destabilizzato la dinamica delle correnti e del ricambio dell'acqua. Sicché tale sistema fa sì che tutte le impurità e la sporcizia in sospensione siano trattenute nel lago, trasformandolo così in pattumiera di tutto l'ampio bacino che gli sta attorno e a monte. Si deve lamentare quindi quanto l'invadente atto ha defraudato la ricchezza faunistica e microorganica, dunque distrutto per sempre un habitat, pertanto irrimediabilmente cancellate specie di fauna ittica autoctone e di conseguenza distrutta una particolare e ricca, pescosità annotata fino dal 1458 dall'umanista Ubertino Posculo, nella sua relazione tenuta ai governanti di Brescia; ma anche citata un secolo e mezzo dopo dal veneziano rettore di Brescia Giovanni da Lezze nel suo "Catastico Bresciano" in cui è segnalata ed esaltata la mitica trota del lago d'Idro. Ora, in seguito allo snaturamento del lago, irreversibilmente sparita. Si deve porre inoltre il quesito per sapere quale sarebbe oggi il valore del patrimonio di questo ambiente lacustre e quali richieste turistiche e residenziali potrebbe soddisfare, se fosse ancora integro in quegli aspetti peculiari che lo impreziosivano. E, fra tanti presupposti che lo qualificavano, valga citarne uno per tutti come segno del sacrificio impostogli, che è poi quello che le popolazioni locali si raffigurano quando pensano a cosa potrebbe offrire il loro lago in termini di immagine, se potesse fregiarsi ancora oggi della presenza della trota marmorata, salmonide autoctono, dalla rosea carne prelibata, per secoli ambito cibo cerimoniale conteso da nobili casate, fra le quali spiccava quella dei Savoia. Si deve evidenziare in fine l'effetto ed il peso usurpanti causati dalla mancanza delle disponibilità caratteristiche sottratte a questo ambiente e con cui si sono spezzati equilibri fisiologici fra abitanti e territorio, per metterli in conto e per valutare quanto tale depauperamento di cultura di lago abbia disorientato la mentalità e l'intraprendenza necessarie a ripensare un'altra qualificata economia quale può essere quella turistica.
Perché la voce di questo ambiente di lago non si cicatrizzi assieme alle sue indelebili ferite, né si celi fra gli ilari veli delle sue malinconiche atmosfere, bensì resti a testimoniare del danno infertogli e dei rischi che ancora corre, è doveroso parlare anche di responsabilità. Parlare dunque per denunciare l'uso indiscriminato e rovinoso, compiuto con autoritario consenso dello Stato, di un lago che la natura, prima che allo Stato, ha assegnato a quelle popolazioni cui per sorte è toccato nascere e formarsi attorno e dentro l'architettura di quell'habitat. E che quindi di questo sono parte intrinseca, perché Vi (dentro tali popolazioni) si sono modellate la coscienza e la ragione stessa di esistere. Un sacrificio dunque imposto in nome di un temporale sviluppo generale e che fin dalle origini sembrò di dubbiosa congruità. Tanto è che il decreto di legge della sospirata concessione, emesso in nome del popolo italiano nel 1917, autorizza la trasformazione del conteso lago esclusivamente per scopi idroelettrici e non irrigui, come poi successivamente è accaduto. Parlare di ragione di Stato o di giusta ragione è concetto complesso che ci tirerebbe in ballo tutti. Meglio per ora andare più al sodo e chiamare in causa politici, legislatori e governanti e chiedere loro perché, in tempi in cui si definiscono presenze da tutelare quali beni ambientali pure i paracarri, lo sconcio creato al lago d'Idro da nessuno sia veramente ritenuto un grosso impatto ambientale, qual è innegabilmente. È possibile che regni tanta disinformazione e che il danno continui, mentre il caso viene eluso dallo Stato stesso, facendo in modo che passi come semplice faccenda di carattere agricolo e perciò di competenza dell'apposito dicastero, che poi lo Stato delega a risolvere la Regione Lombardia? Parlare per chiamare in causa i responsabili della zona, parlamentari, assessori e consiglieri a vari livelli, è sacrosanto dovere, al fine di sollecitarli a interessarsi del problema, rammentandogli che questo non deve essere per loro solo un argomento quale scioglilingua di vane promesse nei discorsi elettorali; per farsi spiegare da loro la ragione per cui la costruzione di un viadotto o di una galleria, la rimozione del suolo o di un particolare albero, per non dire di un fatiscente intonaco, siano considerati impatti ambientali sottoposti all'attenzione ecologistica e storicistica a trecentosessanta gradi fino a far intervenire ministri, sottosegretari, soprintendenti e ispettori (e spesso questi ultimi in atteggiamento vessatorio), quando poi tutto ciò che è stato fatto e si continua a fare al lago d'Idro appare atto distruttivo sopportabile, tanto che nessuno si sente in dovere di mettervi becco.
Parlare perciò dei gestori dell'acqua del lago vuol dire, per questa gente, ricordare in quale modo in passato quel compito fu assolto, per cui essa ora non intende più sopportare che venga ancora affidata a enti, consorzi o a combriccole composte da interessati ed esperti prelevatori d'acqua. Dunque i politici, i burocrati e i vari amministratori lontani e vicini sappiano che essa è pronta a dar fiato e orgoglio nel pretendere che ad arbitro e tutela venga posto un ente al di sopra delle parti. Ed è pronta anche a chiedere conto e spiegazione da dove provenga tanta ostilità a riconoscerle il diritto alla compartecipazione nel definire regole e criteri nella gestione e distribuzione di tale risorsa della quale essa risulta connaturata parte. Parlare di acqua come risorsa, che disegna e forma l'ambiente dove voce e orgoglio della gente che lì vi abita prendono vita, per esigere che venga spiegato perché mai per quelle terre poste fra Brescia e Mantova, in nome della fertilità delle quali, tra il 1917 e il 1987, si siano consumati miliardi di metri cubi d'acqua, quando, nei quindici anni che ci separano dalla scadenza nel 1987 della concessione ad oggi, per mantenere vegete e produttive le stesse terre, è bastato un uso più moderato, ridotto di circa due terzi delle risorse idriche. E dato che siamo sull'argomento, per esigere anche che venga spiegato il motivo per cui si è voluto rinunciare, da parte degli acquivendoli, pure della legittima quota d'acqua derivante dal fatto che il lago in questo ultimo lasso di tempo non è mai stato portato nemmeno alla sua massima quota naturale. Parlare per intenderci e per evitare che si ripetano vecchi metodi e vizi e perché siano chiare le responsabilità e trasparenti le finalità di coloro che sono intenzionati a perfezionare e potenziare l'apparato per l'invaso e lo svaso del lago perché il motivo sin qui dedotto non solo non è chiaro ma allarmante, in quanto è lo stesso identico falso motivo di quello da sempre adottato dai loro avi, quello cioè di difendere il lago dalla sua perversa natura. Perché loro, i paladini contro la fame, la sete e le calamità naturali, hanno solo adesso, dopo il 1987, individuato una paleofrana che incombe là, in quel punto nevralgico, dove l'acqua del lago ridiventa fiume. Una paleofrana che poi altro non è che l'enfatizzazione di un termine usato per indicare il pericolo della instabilità di un argine. Per cui, semmai si trattasse di così serio pericolo, a scongiurarlo, basterebbe rimuovere l'apparato artificiale di sbarramento del lago, smantellando paratie e gallerie e lasciare che l'acqua tracimi e valichi rigurgitando flutti e potenza nell'alveo dell'emissario, perché possa tornare a tener sgombro questo da ogni ed eventuale smottamento dei suoi fianchi. Il suggerimento, anche se sicuramente risolutivo, può sembrare paradossale, non meno paradossale però di quanto ora a ragion veduta risulti il fatto che quell'argine sia stato grattato e reso instabile nei due ultimi secoli con il convincimento di preservare e arricchire ambiente e territorio.
L'ipocrisia e la falsa ragione possono anche portare momentaneo successo, ma un vero e duraturo progresso si costruisce con ben altri parametri, quali la concretezza e la lealtà intellettuale. In questa faccenda sembra però che siano le prime ad avere la meglio, in quanto, il primario elemento di ricchezza o risorsa più preziosa, indispensabile per ottenere l'agognata qualità della vita, quale dovrebbe essere l'acqua in sé (ma anche l'insieme del luogo del suo giacimento fisico e organico, compresa la peculiarità plastica e l'azione modellatrice del complesso equilibrio della sua dinamica fluviale) sia purtroppo ancora considerata una risorsa da sfruttare opportunisticamente, di cui è acconsentito l'abuso e il sacrificio in nome dell'effimera ricchezza di un momentaneo benessere. Cosicché in tale contesto, quella che si può definire coscienza di lago (intendendo con ciò non tanto chiamare in causa la contemporanea sensibilità della gente interessata, quanto innanzitutto evocare lo spirito latente sedimentato nella storia, nella atavica cultura, ma anche evocare quello che si può definire il racconto della natura) sente il dovere e il diritto di esprimere, con quel tanto di vigore rimastole, il risentimento per l'uso improprio fatto delle sue risorse lacustri e che tutto lascia supporre si intenda ancora perpetrare. Sente il dovere di far notare, con ironica smorfia, come sia stato fatto uso paradossale perfino del suo nome, preso a marchio dell'impresa realizzata e blasonata appunto dalla denominazione "Società lago d'Idro". Ma la vera società del lago d'Idro è quella che vive tuttora attorno al lago, e che è tale per storia, etnia e naturale diritto! È una società composta di poche comunità nate e predestinate a consumare lì la loro esistenza, e che in quel territorio, fatto di terra e acqua, devono attingere prima ancora delle risorse per vivere, la ragione stessa dell'esistere, come un qualsiasi altro popolo nato e insediato in qualsiasi altro territorio. Questa gente di montagna, per natura arroccata e diffidente, pur sapendo quanto sia costata ad essa e in genere all'ecosistema la manipolazione di quel bene supremo che è l'acqua, specie del loro lago, si rende perfettamente conto di quanto questo bene sia prezioso. E più di tanti altri conosce anche che, accanto al fondamentale valore energetico e vitale, l'acqua nasconde insidie e pericoli. Quindi più di qualsiasi tanta altra gente sa quanto sia opportuno razionalizzare e controllare il suo decorso, specialmente al fine di migliorare le condizioni del vivere quotidiano. Perciò è gente ben consapevole che il regime dell'acqua del loro lago può essere regolato in altro modo da quello assegnatole dal caos naturale per sfruttare energia e linfa nell'interesse ampio e grande di una nazione; ma sa anche che c'è modo e modo di usarla questa benedetta acqua perché egoismi e superficialismi ed errori di scelta portano, come la storia insegna, ad irreversibili guasti. E sanno questi montanari lacustri che anche l'insieme del loro ambiente è una terrestre risorsa, non solo di quel loro particolare lembo di terra, bensì della globalità delle cose, come lo è l'acqua, anch'essa distruggibile come tutte le cose. Per cui ricordiamoci che nel terzo millennio le risorse idriche non si possono e non si devono considerare interminabili giacimenti, come sono state considerate in passato. Pertanto la si usi pure questa acqua contesa, ma per favore lo si faccia con cognizione e con leale sforzo di trasparenza e di coinvolgimento di intesa, con chi in teoria dovrebbe tenere il coltello per il manico, ossia i lacustri, per fissare regole e organismi collegiali di controllo ed erogazione delle acque e non può essere trattato e legiferato come mera questione irrigua, bensì idrica, con tutte le implicazioni che il termine comporta. Poi tutti insieme fate lo sforzo di guardare e di usare l'acqua non con spirito ottocentesco, bensì con spirito aggiornato al terzo millennio, per vederla come risorsa distruttibile e non solo in quanto corpo fluido, ma anche plastico, con cui ci si può appagare e misurare nel modellarlo sul territorio.
Ma, per favore, fatelo con l'arte dovutale e con tanto, tanto rispetto, come esige Sua Maestà, la Natura» -:

se sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa;

quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di ricondurre nella normalità il grado di tutela e di equilibrio ambientale del lago d'Idro;

se non intenda attivarsi verso le autorità competenti affinché sia fissata la quota minima del lago alla misura di 368 metri sul livello del mare e la quota massima del lago alla misura di 369 metri sul livello del mare, nonché sia consentita la regolazione a serbatoio del lago d'Idro solo ed esclusivamente per l'escursione di 1 metro (da 368 a 369 metri sul livello del mare) e con il volume determinato dal prodotto dell'altezza della lama d'acqua di 1 metro per la superficie del lago (ca. 11,4 exp 6 mc.).(3-00219)